C’è stato quello che mi amava troppo
C’è stato quello che mi amava troppo mi amava da morire mi amava da impazzire mi amava da ammazzare da star male da stremare da struggersi e ferirsi. Ferire. Ero l’unica, la dea.
C’è stato quello che mi amava troppo mi amava da morire mi amava da impazzire mi amava da ammazzare da star male da stremare da struggersi e ferirsi. Ferire. Ero l’unica, la dea.
Ho questa cosa qui col cambiamento. Una specie di ossessione maniacale, una droga. Muta, inversione di rotta, azzeramento per ricostruire, chiamatelo come volete, io cambio. Da troppo porto i capelli allo stesso modo, mi aiuta solo il tempo che rende sempre più salata la mia testa peperina. Ma sto cambiando abiti, liberandomi di tante cose che non mi appartengono più e tenendo solo cose autentiche. E in più l’anno prossimo faccio un restyling della casa, ma nel frattempo colleziono idee, metto via spunti, continuo l’irreversibile cammino del riordino, in senso kondoniano e soprattutto inizio la mia pratica da goccia cinese con il MaritoZen che invece col cambiamento ha un rapporto conflittuale e quindi io inizio a dare per scontato cose con molto anticipo affinché quando si realizzano sembrino già avvenute. Strategie bieche, da moglie astuta e intraprendente.
Da archiviare in “cose che si imparano strada facendo“: anche poco va bene. Non è perfetto? Mi accontento. Non è tutto? Meglio di niente. Non è completo? Potrebbe diventarlo. Non è esattamente come era stato pensato? Magari è meglio.