L’ansia è un male ontologico.
Che cos’hai?
Niente!
Tutto!
Sono solo come l’uomo!
Ho preso questo libro mesi fa, pensando di regalarlo. Poi ci ho ripensato, raramente regalo libri che non ho prima letto. È rimasto a riposare su una mensola. Poi è passato su un comodino. Poi è finito sotto altri interessi. Infine ho avuto la febbre, sono stata costretta due giorni a letto e non avevo neanche la forza di scegliere un libro di là. Ho allungato una mano e sul comodino ho ritrovato “Storia di un corpo”. L’ho cominciato, a fatica, considerato il malessere dell’influenza che non mi dava tregua.
Appena la mia mano fu in grado di chiudersi su una matita, mi divertii a disegnare i contorni di quegli acquerelli. Anziché risentirsi, papà mi guidò; con la mano sopra la mia, mi aiutava a dare alla realtà abbozzata dai suoi pennelli il contorno più preciso possibile.
Dal disegno, passammo alla scrittura. Sempre con la mano che guidava la mia, un portapenne invece della matita, mi faceva tracciare le lettere dopo avermi fatto disegnare i contorni delle margherite.
Così ho imparato a scrivere: passando dai petali alle aste e ai gambi.
Tracciali con cura, sono i petali delle parole.
Mi ha accompagnato come la presenza rassicurante di una nonna al capezzale. Ho ricordato quando da piccola stetti molto male e per quaranta giorni rimasi chiusa in casa con le flebo attaccate. Le mie nonne mi facevano compagnia, si alternavano, a volte venivano a trovarmi entrambe. Rendevano le mie giornate serene, nonostante tutto.
Gesti rapidi del sarto che mi prende le misure con il metro a nastro. Lunghezza delle braccia, delle gambe, vita, collo, larghezza delle spalle. Tocchi precisi e neutri nella zona del cavallo. (Mi domando di sfuggita se puzzo.)
Ma il sarto non bada al corpo. In realtà non mi tocca. Non ha nulla del medico che visita. Le sue dita che puntano gli spilli valutano un volume, disegnano un’apparenza. Da lui esce l’uomo sociale, l’uomo vestito della propria funzione.
Il mio corpo si sente stranamente nudo in questo completo nuovo.
Quando sono stata meglio, ho potuto prendere un ritmo più sostenuto nella lettura. Non è mai diventata un’urgenza febbrile, anzi talvolta ho pensato di abbandonare. Ma ogni volta riuscivo a ripiombare dentro quella storia a metà, la storia di un corpo, raccontata cercando di evitare ogni indugio in ciò che esulasse dalla materia.
Orgasmo di principio, nel quale la mente non coinvolge la totalità del corpo. Ben ti sta, mormora in me una voce edificante: Per svuotarsi bisogna prima riempirsi, ragazzo mio. Ama, riempiti d’amore con la a maiuscola; ama con tutto il Cuore e godrai a sazietà!
Ho letto tutto il libro sapendo esattamente come sarebbe andato a finire. L’ho letto con quella morbosa curiosità dei bambini che toccano la ferita aperta della sbucciatura sul ginocchio.
Perché l’astuzia suprema di quell’onnipotenza [quella del neonato] consiste nel farsi passare per il massimo della fragilità.
Ho ripercorso la mia adolescenza, l’incontro con l’amore, il sesso, i cambiamenti, i turbamenti, la confusione, il conflitto tra il corpo puro e la mente manipolata.
E poi non mi piace il suo odore.
Lei mi piace, ma non la sento.
In amore, non c’è peggior tragedia.
Non ero coinvolta emotivamente, eppure, eppure mi scoprivo a pensare a quel corpo che viaggiava inesorabilmente verso il disfacimento.
In fondo mi piace pensare che i nostri habitus lasciano più ricordi di quanti ne lasci la nostra immagine nel cuore di coloro che ci hanno voluto bene.
Non mi sono commossa, non ho sospirato, non ho neanche mai sorriso. Non ho mai avuto reazioni rilevanti mentre leggevo. Era dopo, che certe immagini si adagiavano dentro e iniziavano a sfogliare pagine non scritte di me.
Come dice quello là, ogni desiderio che la mano non afferra è soltanto un sogno.
Penso che i confini non siano così netti. Penso che ponendo attenzione sul corpo, resti l’essenziale. E l’essenziale non è materia e resta oltre la materia.
È la felicità del corpo a fare la bellezza del paesaggio.
Eppure la bellezza può rendere felici di nonsocché.
Storia di un corpo di Daniel Pennac, Feltrinelli
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