Ex libris, Stile di vita
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Deve esserci un senso

Sfogliando il New York Times online, sorrido leggendo di una mostra appena inaugurata al New York Historical Society: “The Art and Whimsy of Mo Willems”.
Condivido l’articolo sul mio profilo Facebook, raccontando un aneddoto che mi ha fatto il solletico al cuore: sette anni fa, proprio in una libreria di Manhattan, acquistai una copia di “Today I will fly” di Mo Willems, da regalare al MaritoZen per la sua prima festa del papà perché ero incinta e aspettavamo Momo per l’estate.

Quel libro è stato anche uno dei primi che ho letto a Momo neonato, uno dei primi a campeggiare sulla piccola — all’epoca — mensola adibita a biblioteca nella sua cameretta.
Insomma è stato un libro importante.

Vado a prenderlo, per dare seguito a quel friccicore che i ricordi mi avevano regalato. Voglio proprio rileggere la dedica, la data, voglio immergermi nuovamente in quell’atmosfera così lontana, quell’atmosfera di potenzialità. Già, perché per me l’anno a New York, quel periodo coinciso con la mia prima gravidanza, è stato pregno essenzialmente di sogni, di progetti, di ansia di librarsi, di proiezioni, eppure contemporaneamente di pienezza e placida e gaudente soddisfazione per ciò che già possedevo.
Ero gravida, di vita, di amore, di storie.

Lo cerco tra le centinaia ormai di albi illustrati e libri dei bambini. Nel mobiletto accanto al letto non c’è. Del resto lì ci sono i cartonati, per lo più. Nella libreria della sala neppure, lì abbiamo sistemato quelli di grande formato. Sul tavolino ci sono gli ultimi letti e acquistati, mischiati ai recenti prestiti della biblioteca. Accanto al lettone sono stratificati quelli che abbiamo letto per la buonanotte queste ultime sere. Sarà certamente fra il cassettone e la mensola grande della camera dei bambini, schiacciato fra decine di volumi. E infatti eccolo, tra il Gruffalò e la Zuppa di sasso.

mo_willems_today_I-will-fly

Voglio rileggere quella dedica che scrissi al MaritoZen, ricordarmi com’ero, cosa mettevo in mezzo alle parole, voglio ritrovarmi nella grafia di una giovane Claudia appena sposata, incinta, che macchiò d’inchiostro il risguardo di un libro per bambini, seduta su una traballante sedia Ikea di un piccolo appartamento del Village.

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Deve esserci un senso.
Perché l’unico che trovo adesso mi getta nello sconforto più cupo.

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