Trascorro i miei weekend in campagna estirpando erbacce.
Partiamo di sera, arriviamo nel buio frizzante. Il sollievo giunge appena svoltato nella stradina dei Casali. Tutto è sempre esattamente identico a come distrattamente l’avevamo lasciato.
Le notti sono profonde e i mattini arrivano assolati, in silenzio.
I bambini sono storditi all’inizio, ma poi si fanno convincere dalle frittele con lo zucchero e le fragoline raccolte e mangiate, prendono le misure, si riappropriano degli spazi, si divertono, si stancano, non vedono l’ora di annoiarsi, non ci riescono quasi mai.
Io passo le ore a estirpare erbacce. Tutta la cattiveria, la rabbia, la frustrazione, le linee d’odio che ho in corpo si sciolgono attraverso le articolazioni tese. Strappo e respiro, sradico e lascio andare. Afferro la cima molesta di una gramigna e quasi senza guardare, spesso impedita dalla vegetazione intorno, con le dita percorro tutto il gambo, imparando quella tensione al limite, che non tronca né molla, fino alla radice. E lì quel gioco di torsione e forza, a trovare l’angolazione giusta per tirare via tutte le diramazioni sotterranee.
Capita di ritrovarti tra le mani intere zolle, garbugli di radici e minuscoli vermi affaccendati.
A volte serve una zappetta per farsi strada.
Un lavoro infinito. Piegata per terra, a mani nude come non avrei mai immaginato di fare. Ho bisogno di sentire la terra umida o spaccata, le radici secche e taglienti come corde di nylon, quelle bitorzolute e tarchiate sotto i palmi. Ho bisogno di aprire e chiudere le mani con crudezza.
Più tiro via, più mi placo.
Mi stupisco di radici lunghissime dietro piccole escrescenze, mentre godo della semplicità con cui piante infestanti si riescano a sradicare. Rifletto sulla forza che mi richiedono ciuffi dall’apparenza innocua e la blanda trazione sufficiente a estrarre piante ben più rigogliose.
Continuo a non riconoscere l’ortica.
Guardo le mie mani provate e riconosco la fatica di queste settimane, di questi mesi.
Metto i guanti, raccolgo le erbe selvatiche commestibili, le riporto a Roma già lessate, ci faccio una torta rustica.