All posts tagged: storie ritrose

Deve esserci un senso

Sfogliando il New York Times online, sorrido leggendo di una mostra appena inaugurata al New York Historical Society: “The Art and Whimsy of Mo Willems”. Condivido l’articolo sul mio profilo Facebook, raccontando un aneddoto che mi ha fatto il solletico al cuore: sette anni fa, proprio in una libreria di Manhattan, acquistai una copia di “Today I will fly” di Mo Willems, da regalare al MaritoZen per la sua prima festa del papà perché ero incinta e aspettavamo Momo per l’estate. Quel libro è stato anche uno dei primi che ho letto a Momo neonato, uno dei primi a campeggiare sulla piccola — all’epoca — mensola adibita a biblioteca nella sua cameretta. Insomma è stato un libro importante. Vado a prenderlo, per dare seguito a quel friccicore che i ricordi mi avevano regalato. Voglio proprio rileggere la dedica, la data, voglio immergermi nuovamente in quell’atmosfera così lontana, quell’atmosfera di potenzialità. Già, perché per me l’anno a New York, quel periodo coinciso con la mia prima gravidanza, è stato pregno essenzialmente di sogni, di progetti, di ansia di …

Io, la maglia e un nuovo amore #westknit

Quando ero piccola, arrivava l’estate e le scuole chiudevano. Mia madre lavorava in banca, mio padre, promotore editoriale, chiudeva l’agenzia solo ad Agosto. Io non lo so se i miei genitori si facevano venire le tachicardie come prendono a me, ma comunque — mia sorella ancora non c’era — il problema-figlia veniva gestito così: alcuni giorni venivo affidata a mio nonno, che ha presidiato il magazzino di mio padre dalla pensione fino a pochi anni fa, con il quale componevo le collane dei libri scolastici per settembre, facevo merenda seduta in cima ai bancali di libri incellophanati, ascoltavo storie bellissime della sua infanzia o di sua invenzione, facevo amicizia con librai chiacchieroni e professori colti, sfogliavo libri illustrati e sognavo di scriverne; altri giorni venivo accompagnata la mattina presto da mia nonna, che aveva un meraviglioso terrazzo petaloso, abitato soprattutto da gerani, con i quali mi avvantaggiavo di una ventina d’anni sulla ricostruzione unghie e mi fregiavo di manicure rosa (geranio, appunto). Ma non solo: con lei sin da piccolissima ho imparato ad amare i ceci, perché me li spellava, uno …

racconto breve

Nei tinelli accadono cose

“Che stai facendo, Robertina?” “Niente. Avevo sete”, risponde, persa sulla sua sedia. “Roberta, per l’amore del Cielo! L’acqua!”. Dino si affretta a diluire il fondo di vino rosso lasciato nel bicchiere dall’avventata sorsata di lei. “Avevo sete”, si ripete a mezza bocca Roberta. È imbronciata, guarda nel vuoto, davanti a sé, in un punto preciso tra due piastrelle celesti lievemente disallineate.

barcolana trieste

Aspettando la Barcolana a Trieste

Nino è uno skipper, ma dalle 9 alle 20, ogni giorno dal Lunedì al Venerdì, indossa la sua divisa da uomo d’affari e gestisce un’importante società di import export. Ha 36 anni e vive senza troppa convinzione con Gemma in un loft in zona Brera. Gemma fa la PR per un’azienda di moda per cui viaggia tantissimo, spesso anche nel fine settimana. Allora Nino il sabato si sveglia molto presto, fugge a La Spezia e ritrova Malù. Malù è un gioiello, lucida, perfetta, 37 piedi, un albero maestro in carbonio robusto e leggero, il timone a barra. Con Malù esce per mare con qualsiasi tempo, è una necessità. Deve sentire il vento, assecondarlo, ricongiungersi con il suo elemento.

Quello che gli occhi non vedono

Cosa accade quando chiudiamo gli occhi? Cosa sentiamo nel buio? E soprattutto cosa significa non vedere? Non vedere l’altro, sé stessi, le relazioni, i rapporti? Quello che gli occhi non vedono è un viaggio attraverso i sensi che prevalgono quando la vista — per scelta o fatalità — viene meno. Frangenti di vita in cui si esalta la comunicazione, la connessione con un sentire vero.

affinità-elettive-chiudere-le-porte

L’amore non esiste — la voce, le scelte, le affinità elettive

A volte ho creduto di poter chiudere le porte. È facile. Chiudi, ti volti e metti un passo davanti all’altro. Ti immergi nel dopo, affondi le mani nel nuovo, affoghi nelle trame del futuro. Poi ti affidi al tempo, alla memoria che vacilla, al torpore degli anni che si sommano, alla nebulosa dei ricordi, ed è fatta. Tutto scorre e non torna più. Sei altro, cambi, non c’è più nulla da spiegare. Forse a volte qualcuno stuzzicherà quel passato, una domanda, un’insinuazione, ma tu sei diversa, hai trovato la giusta distanza, quel tono pacato e deciso con cui mettere a tacere ogni illazione scomoda ti viene naturale. E punto a capo. Eppure accade. Una coincidenza, un momento di distrazione e ci sei di nuovo dentro. Così rifletti sulle affinità elettive. Quelle scelte che si fanno per istinto, quelle relazioni che partono da una voce intonata alla tua e semplicemente si accordano e si scambiano profondità ed estensione. L’amore non esiste. Vorrei trovare sinonimi per raccontare quello che accade tra le persone che si incontrano e …

lacrime in tasca

Quello che gli occhi non vedono

A scuola avevo un compagno che ho amato moltissimo. Mi raccontava che entrare in un nuovo spazio era sempre una conquista. Comprenderne i confini, memorizzare la disposizione degli elementi che lo compongono, prendere le misure avendo come unità i propri passi, le proprie dita. Mi diceva che per lui poteva esistere solo ciò che veniva toccato o calpestato. Il mio amico parlava di stanze, di luoghi, ma intendeva la vita, le persone.