E del perché latito, del perché ci sono, ma è come se non ci fossi.
Forse è tutta colpa dei geni. Come dice Alice, l’ansia è una delle tante cose di cui possiamo incolpare i nostri genitori. Nel mio caso posso continuare ad andare a ritroso e trovare qualcosa, ne sono certa.
Ho giornate di iperattività in cui faccio suonare mille campanelli e poi anni di letargo in cui lascio cadere a un passo da me le prede abboccate alla mia esca, le ignoro, tiro su il lembo della coperta e mi giro dall’altra parte.
Ho un problema con i traguardi, ci arrivo a un pelo e poi non faccio il rush finale. Ansia da prestazione? Paura del secondo posto? Panico da abbandono? Terrore di dover dimostrare di meritare davvero?
Potrei continuare all’infinito, ma la questione è: sei grande, svegliati. Non tutti hanno gli stessi percorsi, ma tu ti devi qualcosa. Quindi decidi: o una cosa la desideri — e quindi cazzo prenditela, oppure non la desideri — lascia perdere, getta la spugna.
Odi la commiserazione, allora evitala.
Odi il compiacimento e l’affettazione, bene, allora sai che puoi fare a meno dei trofei.
Non c’è altro da dire: o sei dentro o sei fuori.
C’è una cosa però, qualcosa di me.
Che quando la racconto questa ansia, quando la tiro fuori, sono già un pezzo avanti. Fisiologico, abbastanza comune: estrinsecare aiuta a guarire.
Allora io la mail la mando, la fattura la compilo, la telefonata la faccio subito e magari esco anche per andare in biblioteca, forse faccio ancora in tempo a ritirare quegli splendidi libri che avevo prenotato.
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