Ho letto “Terzo tempo” di Annamaria Anelli.
L’ho letto mentre Ricco era a casa per un’influenza parecchio aggressiva e il MaritoZen cominciava ad avvertire sintomi di un contagio incipiente. Praticamente una catastrofe.
L’ho letto di notte con il piccolo appiccicato e nervoso e il grande insonne e lamentoso (parlo del padre), e l’ho finito la mattina successiva, dopo aver accompagnato Momo a scuola, aver fatto la spesa e organizzato i pasti per la settimana. E prima ovviamente di cercare di mettere insieme un paio di cose lavorative che non mi facessero percepire la giornata inesorabilmente persa.
Ed è stato come se presa dalle mie occupazioni da madre amorevole e consorte devota, nonché da casalinga integerrima e professionista agguerrita, io avessi tenuto un dialogo silenzioso con un’amica, dandoci pacche sulle spalle, sussurrandoci confidenze, sorseggiando vino rosso e asciugandoci pure qualche lacrima.
Annamaria non la conosco personalmente, ma mi piace, la leggo, la ascolto e la trovo una donna molto autentica. Una volta ci ho parlato lungamente per telefono, si è messa a disposizione per darmi consigli, per illustrarmi una situazione e darmi un feedback su un’esperienza che di lì a poco ci avrebbe accomunato. È stata estremamente gentile e disponibile e anche se poi non ci sono state occasioni per guardarci negli occhi e stringerci una mano, ho continuato a considerarla una risorsa, una persona da cui apprendere.
Ecco, mi auguro che presto arrivi il momento di stringercela questa mano e magari abbracciarci, perché dopo aver letto il suo libro, breve e delicato, ma sostanzioso e generoso, a me sembra di conoscerla un po’ meglio e mi sembra anche che lei conosca me, e che una volta guardateci negli occhi possa capire tutti i punti di contatto che abbiamo.
Siamo mamme, siamo lavoratrici e siamo freelance. Ma non solo: Annamaria si racconta, racconta le sue fragilità, che sono anche le mie, racconta i suoi fantasmi che assomigliano ai miei. Lei però ha trovato una strada, il suo terzo tempo, appunto.
Il tempo per sé, per coltivare una dimensione che non sia né della mamma, né della professionista, ma della persona.
Nel suo “Terzo tempo”, Annamaria parla di crisi, di insicurezza, di paure, di fallimento, di senso di inadeguatezza e di tutte quelle piaghe lì in cui personalmente sguazzo quotidianamente. Mi ha fatto razionalizzare il processo per cui la terrificante paura di perdere, di fallire, mi faccia spesso abbandonare a un passo dal compimento di un percorso. Mediterò.
Ma parla anche di condivisione, di ricerca, di scelte, di studio; alterna aneddoti a consigli pratici. Così mi sono appuntata un paio di dritte che seguirò sicuramente.
Tanto per cominciare andare al prossimo Freelancecamp per conoscerla!