Prima di tutto c’è stato tanto mare, c’è stato il suo silenzio.
Non ho fatto vita da spiaggia, sono andata al mare al tramonto, spesso, finché ero a Brindisi, dai miei.
Poi siamo partiti per la Croazia, in barca a vela e, se possibile, il dolore per la mancanza del mare, l’ho sentito ancora più forte.
Ma come, mi dirai?
Ti mancava il mare mentre ci eri dentro?
Mi faceva male per averne fatto a meno troppo a lungo, mi faceva male perché la terra era troppo vicina.
Rubavo il tempo sospeso della mattina presto nelle baie languide ancora dormienti, tempo tutto per me durante il quale contemplare, semplicemente. Ogni tanto qualche bracciata, assaporarne la fluidità. E nel frattempo, inconsciamente, cercare di collezionare ricordi, sensazioni, da infilare nella bisaccia per l’inverno.
E poi ho goduto pienamente del navigare, dell’abnegazione alla natura, del contatto col vento, dell’essenzialità delle scelte. Del procedere del tempo perfettamente in armonia col mio ritmo interiore. Dei vuoti pieni di grazia.
E ora che sono qui, lontana, mi sembra di aver perso la bussola. Posso solo chiudere gli occhi, inspirare forte e raccattare quello che resta.
Il mare che mi porto dentro mi sana.
Mi ha sussurrato all’orecchio dove sto andando.
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