Non è finito Settembre, sono solo a Martedì e sono già stanca.
La scuola è ricominciata da una settimana e ho a casa Ricco, ammalato, da due giorni.
Io ho vari malanni che si accavallano da quando sono rientrata dalla Croazia, somatizzo il mal di terra? Può darsi. Fatto sta che non mi sono ancora ripresa.
È venuta a trovarmi un’amica speciale da Francoforte, tra le prime battute: ” Ma che fine ha fatto la tua voce?”. Siamo ancora a questo punto.
Ho sentito un’altra amica speciale, mi ha detto ci penso io, ti curo, è la persona giusta, lo so. Ho deciso che questa cosa l’affronto, mi curo.
Intanto ho giornate a incastro, e come sempre vuol dire che sto producendo, perché quando tutto attorno fibrilla, arrivano le scintille, le acchiappo al volo di notte, come lucciole da inseguire, che porto in salvo in un barattolo per liberarle nella stanza tutta per me. Funziono così. La stasi mi paralizza il cervello, e certe volte pure il cuore.
Da quest’estate provo a meditare, posizione zen, respiro, qui e ora, il corpo, solo il corpo, il respiro, sono qui, ora, lascio scorrere quello che era, non proietto nulla. Sono qui e sono corpo.
Mi sono accorta di quanto sia difficile, sono lontanissima dall’illuminazione e le mie sensazione al riguardo oscillano dalla tenerezza che mi faccio, scoprendomi incapace di stare ferma perché quando mi dico stai immobile comincio ad avere solletichi, pruriti, dolori e mi dico lascia stare il sale della lavastoviglie da aggiungere a wunderlist, ci pensi dopo, e invece mi incaponisco e continuo ad aggiungere alla lista gli anacardi ‘ché voglio provare a farci il latte, e quanto sarebbe bello avere un essiccatore per avere quelle chips di frutta e verdura che così diventerei magra e in forma senza sforzo, certo mi farebbe bene ricominciare a correre, ma quest’anno devo trovare un impegno con orari precisi e giorni in cui tutta la famiglia sappia che io non ci sono, ho le mie due ore da dedicare al benessere, che tutta questa libertà che puoi andare a correre quando vuoi si trasforma a novembre con ci vado domani prima di cena, e a dicembre ho preso già altri tre chili e non è manco arrivato Natale, che quest’anno col cavolo che mi impicco a fare tutti i regali a mano, va bene la lana, il pensiero, ma ci devo arrivare sana di mente, devo farmi venire un’idea geniale, e poi chissà se a Natale quest’anno scendiamo a Brindisi o vengono qua i miei, forse sarebbe meglio, potremmo andare sulla neve, se nevica, che guarda quanto sono estremista sempre — un altro punto su cui meditare, ops, ma io stavo meditando — o il mare o la neve, mai una via di mezzo, mai, come quella volta che…
Chiaro il concetto, no?
Dicevo oscillo fra la tenerezza che mi faccio per essere incapace di fermarmi e la frustrazione per essere così incapace di fermarmi. La cosa bella però è che resto cocciuta, l’impermanenza mi fa un baffo: sono e resto cocciuta. E quindi mi siedo con le gambe incrociate, cerco di non grattarmi e faccio programmi per i prossimi mesi, cercando di non tralasciare la strategia per andare via di qui.
Via di qui. Piano piano si affaccia questo pensiero. E se focalizzassi le mie energie per creare i presupposti per lasciare Roma? È un’idea. Per quale motivo, non ho avuto remore, a vent’anni, a prendere un treno solo andata e mi sconvolge l’idea di vedermi altrove tra qualche anno? Che poi non è proprio sconvolgimento, è confusione, ecco. Ansia. Ma intanto prendo confidenza con l’idea.
E nel frattempo faccio valigie ideali. Cioè mi libero delle zavorre per arrivare a possedere sempre meno oggetti ed essere pronta a traslocare con meno fatica. Se non altro comincio ad avvertirne i benefici anche non muovendomi da qui. Sono lontana dall’avere una casa minimalista, un guardaroba minimalista, una cucina minimalista, ma sto pian piano cercando il mio equilibrio per stare bene e avere attorno solo oggetti che amo. E più sgombero più i contorni di ciò che conta si fanno nitidi: i quadri acquistano valore, sprofondare nel divano mi dà sollievo, persino guardare i bambini che giocano con i lego sul pavimento mi dà una sensazione di pace interiore, godo della loro concentrazione.
I bambini stanno crescendo, non è una novità. I bambini crescono tutti i giorni, ma io quest’estate me ne sono accorta di più. Pensano in grande, hanno sentimenti grandi, sguardi grandi, domande grandi, anzi enormi. E io devo accontentarmi di arrabattarmi con risposte piccole. O prendermi il tempo e scriverci su.
Scrivere è la mia risorsa. Sempre. L’indicatore dei miei umori, il mio tempo di analisi sulle cose, la strategia che mi offro quando vado nel pallone, quando mi sembra di aver perduto tutto o quando non ho niente da perdere, quando sono in affanno e cerco silenzio, quando l’immobilità mi disarma e quando sento di dovermi difendere. Io prendo i miei quaderni e scrivo. E poi non rileggo quasi mai.
Però ho detto quasi.