Scrivere
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Scrivere è un’occupazione?

Me lo sono domandato spesso: scrivere è un’occupazione? Un’occupazione seria, intendo.
Mettendo da parte l’idea romantica dello scrittore solitario che mangia pane, genio e sregolatezza, scrivere può dare sostentamento economico, oltre che soddisfazione al proprio narcisismo?

Sì, scrivere è un’occupazione, talvolta remunerativa. Non che ci si arricchisca, ma può dare profitto.
Me lo dicevo sottovoce, che scrivere potesse essere un’occupazione, mentre aprivo la partita IVA, cinque anni fa, e iniziavo a fatturare come web writer, poi il primo libro come autrice, il secondo, il terzo e nel frattempo a leggere e prendermi cura delle parole di altri, di altri libri, di altri autori, come redattrice e consulente editoriale. Perché tutto sommato scrivevo sì, ma non mi sentivo una scrittrice, al massimo una scrivente, una che scrive appunto. Che secondo me è diverso. O forse no, ma finiamola qui che poi mi incarto.

Scrivere può essere un’occupazione, mi dicevo sottovoce, anche quando mettevo insieme parole per progetti che non hanno visto la luce, quando scribacchiavo idee che non mi sono mai presa la briga di andare a riguardare, quando buttavo giù storielle per i bambini, quando con una punta di imbarazzo mandavo racconti a concorsi che mi hanno scartato.
Perché talvolta scrivere è un investimento su se stessi, sul tempo, sulle risorse. Scrivi e non sai mai. Però resta la tua occupazione, ci passi le giornate, e spesso quei fallimenti, quei semi, quei germogli ti servono per raccogliere il resto, anche se dall’esterno non ci vedi connessioni.

biglietti da visita di claudia mencaroni

Poi a un certo punto, dicendomelo sottovoce che scrivere è un’occupazione, l’ho messo nero su bianco, sui miei biglietti da visita bellissimi che quando li distribuisco suscitano sempre un commento gentile e io gongolo, lo ammetto. Perché dentro quei tre, quattro centimetri quadrati c’è molto di me e dell’incapacità di darmi un’etichetta e restarmene buona a fare cose che hanno un’etichetta. Ma c’è anche molto del mio percorso perché non è stato facile arrivare a individuarmi, ho dovuto scegliere, rinunciare, decidere di fare qualcosa e qualcosa no, di concentrarmi su un aspetto piuttosto che un altro e formarmi in una direzione precisa.
C’è molto del mio riguardo verso la scrittura, per cui non riesco a definirmi più di una che scrive, riscrive e legge storie. Ma almeno ci sono arrivata, perché in fondo questo faccio, quasi tutti i giorni: scrivo, riscrivo, correggo, leggo e accudisco testi. Anche il sabato e la domenica.
Perché a differenza di un lavoro col cartellino questo ha una serie di controindicazioni, soprattutto per una freelance che quando il lavoro non glielo commissionano se lo deve inventare. E ha anche una serie di diramazioni: le ricerche, i contatti umani, le letture, per esempio, che per me sono sostentamento lavorativo, sì, ma nutrono il mio tempo libero con piacere.

E allora sì, scrivere è un’occupazione, la mia, per cui c’è bisogno di una dose di disciplina, una porzione di creatività e fantasia, un pizzico di ispirazione e anche una quantità di mestiere, che si impara, ma senza finire mai.
Il bonus è sapersi perdonare. Almeno a me, serve anche quello.

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