Sento di dover fare ordine, di fare spazio. È qualcosa di ciclico, mi dico. E invece se ci penso bene è un’esigenza antica che non ho ascoltato fino in fondo (dando ripulite sommarie senza operare in maniera profonda) e che quindi mi trascino appresso negli anni.
Ad essere cicliche sono forse le esternazioni di questo malessere.
Ho bisogno di avere meno cose intorno e riuscire a godere di ciò che reputo essenziale. Ho bisogno di risparmiare energie per ciò che amo.
In questo periodo quindi accadono tre cose.
La prima è che guarda caso, tra vecchi ZeroCalcare presi in biblioteca, romanzi della scorta fatta al Salone del Libro di Torino, albi illustrati e tanto Roald Dahl con i bambini, sto sbocconcellando le 96 lezioni di felicità di Marie Kondo.
Io la adoro, ve lo dico, prima che qualche detrattore si getti a sbeffeggiarla. La adoro anche nei suoi stravaganti estremismi. La adoro per il suo essere esile e poco ingombrante — tutto il contrario di me, per la sua grazia innata e la sua ironia giapponese. La adoro per il fatto che sia riuscita a creare una disciplina semplicemente seguendo il suo demone, apparentemente patologico. Insomma per me è una tosta. Io adoro Marie Kondo, l’ho detto.
Avevo letto l’anno scorso Il magico potere del riordino e l’avevo trovato illuminante. Ho provato a seguire il metodo, partendo come si conviene dall’abbigliamento. Confesso di non essere riuscita a compiere davvero la rivoluzione fino in fondo, non ho avuto abbastanza coraggio, forse non era arrivato il momento, non so.
Cosa ha prodotto quella grande sfoltita? Di sicuro ne sono uscita fortificata e sempre più convinta di quanto abbia bisogno di spazi, spazi vuoti. D’altro canto l’apparente ordine ritrovato ha placato l’animo tanto da farmi arenare nel percorso.
Adesso con il pungolo di queste nuove lezioni, sento che potrebbe essere arrivato il momento di riprendere in mano la situazione.
Seconda cosa che accade in questo periodo. Ho deciso di fare dei piccoli lavori in casa, primo fra tutti ridipingere le pareti: ne hanno bisogno per questioni igieniche, ma anche e soprattutto per igiene mentale mio. Persino il MaritoZen ormai è rassegnato. Ha capito che ogni tot devo cambiare qualcosa, per paura che sia il consorte mi ha lasciato carta bianca sulla casa. Bello quando i matrimoni si basano su questa comprensione profonda.
Pensando di operare la prossima primavera, mi godo tutta la preparazione, fatta di cartelle che scoppiano su Pinterest, campioni di rivestimenti e pittura, prove tecniche di rimescolamento di mobili e ovviamente una forte spinta ad affrontare gli scomparti in altissimo della libreria, quelli che avevamo deciso di tenere chiusi per nascondere tutta la roba vecchia e incatalogabile.
In maniera del tutto casuale e imprevedibile apro cassetti e stipi e seleziono, buttando bustoni di roba. So che non è finita qua, ma intanto, sempre per quel principio che ho fatto mio, anche poco va bene. Poi ci ritornerò.
L’ultima cosa, la terza, quella con deflagrazione più potente, quella che può davvero dirsi un accadimento. Si è rotto l’hard disk esterno. Quello di back up. IL back up. Il contenitore delle nostre foto, dal viaggio a Londra, alle prime fughe da innamorati scalzi, New York, i bambini. Il viaggio in Namibia, in Botswana, il matrimonio, tutti i compleanni, Barcellona, Amsterdam, Venezia, i miei pancioni, il mare, la campagna, il Trentino, la barca a vela, la Grecia. E potrei continuare ancora molto, facendomi guidare da microscopici frammenti che affiorano secondo associazioni imperscrutabili. Sono frammenti che probabilmente non corrisponderebbero a nessun fotogramma se mai potessi rivedere quelli scattati nel corso di questi anni, sono un concentrato di dati sensibili e probabilmente ineffabili, proiezioni della mia memoria. La mia memoria, quella selettiva ed estemporanea. Quella umorale e indisciplinata, quella distante anni luce dall’ordinato archivio digitale che il un attimo si è dissolto.
No, non avevo un secondo hard disk di back up.
Non ho una chiusa coerente, non ho ancora un pensiero strutturato su questo evento dalla portata a tratti disarmante.
Ma penso che questi tre spaccati delle mie giornate raccontino bene il desiderio di spazio e di selezione, desiderio di ripensare il valore autentico di ogni azione e di ogni oggetto che posseggo. E prendermene cura.
Perché anche i ricordi si possono mettere in ordine e magari buttarne qualcuno tra le fiamme, lasciarne qualcun altro sotto la cenere.
E poi spennellare d’oro quello che resta.
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